Sguardo storico

IL “BOLLEZZUMME” NEGLI ANTICHI “CARUGGI”  DI GENOVA

 di Guido Giovannini Torelli

 

Ahi genovesi, uomini diversi,
d'ogne costume e pien d'ogne magagna,
perché non siete voi del mondo dispersi?

Dante, Comedia, Inferno XXXIII

“Genova, nido di predoni, mercanti, guerrieri ...”  
Osip Mandelstam, Il comandante del porto

 

PREMESSA

“I caruggi sono i vicoli della città vecchia attorno al porto di Genova, il Centro Storico più grande d'Europa. Il bollezzumme è l'agitazione del mare prodotta dal vento o il ribollio quando l'acqua si infrange tra gli scogli vicino a riva.” Così il regista Michele Capozzi presenta “Bollezzumme” il suo documentario sul Centro Storico di Genova destinato a diventare un cult – un docucult, dunque – e continua: “Questa agitazione, questo ribollio nelle stradine, piazzette e vicoli dei caruggi ci sono sempre stati. La costruzione della città era stata pensata anche in funzione protettiva da eventuali invasioni dal porto. Gli invasori, infatti, si infilavano in queste stradine, si perdevano finché si ritrovavano in piazzette dove confluivano vari vicoli e lì venivano attaccati dai genovesi. Come i pellerossa hanno fatto con le giacche blu, le carovane dei coloni o chiunque si avventurasse in quei canyon ... Sono passati secoli, eppure lo show del bollezzumme si svolge su quello stesso palcoscenico e con la stessa antica sceneggiatura ma con diversi attori e protagonisti. Invece di un porto vibrante con le snelle galee del principe-ammiraglio Andrea Doria pronte a partire per andare a combattere francesi, turchi e pirati in tutto il Mediterraneo, adesso vi sono strutture moderne per accogliere lussuose navi da crociera stracariche di turisti. Questo cambiamento socio-urbanistico accade ovunque nel mondo, ma a Genova ha una logica particolare ed uno scacchiere molto variegato: il Centro Storico consiste in una serie di contrade, sestieri, enclavi uno diverso dall'altro per lingua, tradizioni, cibo e religioni. Una quasi-New York da esplorare con differenze visive immediate: giri un angolo, entri in una piazzetta e sei in un altro mondo. Una babilonia moderna ed allo stesso tempo antica nelle viscere della città, circondata fisicamente dalle vecchie mura, e dai vecchi confini, dall'acqua del porto alle vie eleganti con i palazzi patrizi che fecero conoscere nel mondo 'Genova La Superba' !”

Il testo che segue ripercorre una parte della storia di questa città in continuo divenire, instabile e trasformista come il mare che la circonda e, allo stesso tempo, tenace come l'ambizione e la volontà degli uomini – per non parlare della folgorante bellezza delle donne – che la dominarono, siano essi splendenti re od imperatori, grandi ammiragli o semplici marinai, avidi banchieri, mercanti o canaglie, fino ad arrivare al popolo minuto e poi agli schiavi ed  ai forzati... Partiamo dunque per il nostro lungo viaggio che, già sappiamo, sarà pieno di meraviglie, insidie e sortilegi.

 

ELEZIONE DI CARLO V  AL SACRO ROMANO IMPERO

Il Sacro Romano Impero – l’organismo politico creato da Carlo Magno nell’anno 800, caratterizzato da un forte senso della sacralità e dalla sua diretta discendenza dall’impero romano – durò, pur con continue trasformazioni, fino al 1806 e contò un totale di cinquantasei regnanti.

Carlo V d’Asburgo (1500-1558) ne fu proclamato quarantaduesimo imperatore ad Aquisgrana il 23 ottobre 1520 a soli vent'anni d'età. La sua elezione non fu né facile né sicura poiché i suoi antagonisti più forti erano Enrico VIII d’Inghilterra e Francesco I di Francia, sostenuto dai banchieri italiani. Si trattava, quindi, di convincere la maggioranza dei sette elettori palatini (composta di tre arcivescovi e due laici che si spartirono mezzo milione di fiorini) a votare per lui. Il costo totale di questa complessa operazione ammontò alla cifra colossale di 851.000 fiorini, (v. nota sulle monete) dei quali:

•       543.000 vennero dal potentissimo banchiere tedesco Jacob Fugger;

•       143.000 dalla famiglia Welser, anch’essa tedesca;

•       165.000 da tre famiglie italiane – Fornari e Vivaldi di Genova, Gualterotti di Firenze – ciascuna delle quali investì 55.000 fiorini in questa operazione.

Carlo V fu obbligato a sviluppare rapidamente un piano per sfruttare al massimo le grandi risorse prodotte dalla Nuova Spagna, principalmente l'oro dei Maya e degli Aztechi. Tutto ebbe inizio subito dopo la scoperta dell’America fatta nel 1492 da Cristoforo Colombo in cerca di una nuova rotta marittima per le Indie. Per inciso, il viaggio del grande navigatore genovese era stato finanziato – dopo prolungati indugi – con cinquemila ducati (una cifra non esorbitante, in parte  ottenuta dalla vendita di due collane di rubini) da Ferdinando ed Isabella, i re cattolici di Spagna. Ben presto due conquistadores tanto audaci quanto spietati – Hernàn Cortès (1485-1547) e Francisco Pizarro (1475-1541) – offrirono a Carlo V le migliori opportunità per finanziare le sue ambizioni di pari passo con le sue guerre.

E’ stato calcolato che, fra il 1504 ed il 1522, almeno 450 navi compirono il viaggio di ritorno dalle Indie Occidentali cariche non solo d’oro, argento e perle, ma anche di altri prodotti della terra, spezie, animali esotici e schiavi. Il viaggio durava mediamente tre settimane.

La Costa delle Perle, in prossimità dell'Isola Margarita oggi in Venezuela, era anche un centro di raccolta dei nativi che poi sarebbero stati mandati in Europa. Fra i più attivi mercanti di schiavi che operarono in quel tempo vi erano i Fornari, la stessa famiglia genovese che aveva in parte finanziato l'elezione ad imperatore di Carlo V (v. nota sulla tratta degli schiavi).

 

CARLO V ED ANDREA DORIA

Carlo V si trovò ancora giovanissimo a regnare su un territorio immenso – quasi tutta l'Europa – grazie a ragioni dinastiche, ereditarie ed anche alle nuove conquiste. Aveva quindi bisogno di un esercito imponente ma, poiché il suo regno si estendeva su buona parte del Mediterraneo, aveva anche bisogno di qualcuno che gli organizzasse una flotta poderosa. Carlo V si rivolse ad Andrea Doria (1466-1560) appartenente ad un'illustre famiglia genovese, quella dei D'Oria, con il quale stipulò un regolare contratto affinché gli assicurasse il predominio sul mare principalmente contro  Francesi, Turchi e pirati. Andrea Doria cominciò ad armare le prime 12 galee nel 1528, progressivamente aumentandone il numero a 15 nel 1530, 17 nel 1535, 22 dal 1538 al '41 per ritornare a 20 galee dal 1547 al '52. Questa grande flotta comportava un esercito di quasi seimila uomini fra marinai e rematori per una spesa complessiva di 125.000 scudi all'anno da parte dell'imperatore.
    
(v. nota sulle galee)
Siccome anche a Genova piove sempre sul bagnato, l'imperatore seppe come ricompensare adeguatamente il suo ammiraglio per i servigi resi e, nel 1531, lo elevò a principe di Melfi e gli conferì l'ordine del Toson d'Oro, facendo di Andrea Doria uno dei primi italiani a ricevere l'onorificenza più ambita in quell'epoca.

 

PITTORI FIAMMINGHI A GENOVA

Chissà, forse fra i primi artisti a restare affascinati dagli antichi caruggi genovesi furono i pittori fiamminghi... All'inizio del XVII secolo, infatti, l'ambizione, il gusto raffinato ed un'oculata diversificazione degli investimenti spinsero i grandi banchieri, mercanti ed il patriziato genovese con ingenti disponibilità finanziarie verso un collezionismo artistico di altissimo livello. Furono quindi chiamati in città per importanti committenze alcuni famosi artisti italiani e stranieri, principalmente fiamminghi, quali Peter Paul Rubens, Anton van Dick e Justus Sustermans.

Rubens viaggiò in Italia fra il 1600 ed il 1608 e soggiornò più volte a Genova, soprattutto nel 1604 e nel 1606. Egli era il pittore di corte di Vincenzo I Gonzaga duca di Mantova e svolse per lui anche incarichi di natura diplomatica (qualcuno si spinge a dire che era la sua spia...). Poco dopo, anche il suo discepolo Anton Van Dyck viaggiò in Italia ed arrivò a Genova nel 1621. I due pittori ritrassero nei loro palazzi le più belle dame del patriziato genovese – Spinola, Durazzo, Lomellini, Doria, Brignole, Baldi ed altre ancora – stupendamente abbigliate ed adornate con gioielli molto raffinati. Nel 1622 Rubens fece un grande omaggio alla città pubblicando a sue spese ad Anversa  i Palazzi di Genova,, una raccolta di incisioni raffiguranti dettagliatamente una trentina delle più belle dimore gentilizie. Alcune di queste, disegnate dall'architetto Galeazzo Alessi, si possono ancora oggi ammirare in quella strada lunga 250 metri, larga 7, progettata da Bernardino Cantone nel 1550 e che richiese più di trent'anni per il suo completamento. Originariamente fu chiamata Strada Maggiore, poi Strada Nuova fino all'inizio del XIX secolo, poi Via Aurea ed anche Via dei Re.
Nel 1882 venne infine dedicata a Giuseppe Garibaldi.

Per concludere: anche il continuo cambio di nome della più bella arteria di Genova sta in qualche modo a spiegare la diversità ed il trasformismo di una città in costante divenire.

 

Nota sulle monete auree ed il loro valore

Le monete d'oro furono usate come strumento di pagamento e mezzo di scambio nella compravendita di beni e servizi fino all'età moderna. Quelle che circolarono maggiormente in Europa furono il fiorino, il ducato e lo scudo: il loro valore intrinseco era dato dal peso in oro fino (24 carati)  di cui erano composte. Comparativamente ognuna di esse pesava all'incirca tre grammi e mezzo.

La zecca di Genova produsse monete in vari tagli dal 1139 fino al 1814. Nel 1252 cominciò a battere il genovino di gr. 3,53 come il fiorino di Firenze. Fu coniato fino al 1415, quando aumentò di peso a gr. 3,56 e cambiò il nome in ducato. Dal 1507 al 1636 – quindi nel periodo di tempo preso in considerazione in questo scritto – Genova emetterà lo scudo che, fermo restando il peso iniziale di gr. 3,50 circa, assumerà nel tempo vari tagli e pesi ottenuti con l'ispessimento della moneta stessa.

E' un esercizio estremamente complesso – se non assolutamente fallace – cercare di raffrontare il valore meramente pecuniario dell'oro dei nostri giorni con quello di quei tempi lontani, essendo troppo ampie le varianti correlate (industria estrattiva, distribuzione, rate di cambio delle valute, volatilità, eccetera). A puro titolo di curiosità si può ipotizzare in maniera del tutto empirica che 400 scudi di allora, durante il corso dell'anno 2010 (e cioè in un'epoca in cui il prezzo dell'oro benché in costante ascesa non aveva ancora raggiunto dei picchi storici) potrebbero valere approssimativamente 36.500 euro. Dovremmo, invece, tenere bene a mente che il potere d'acquisto di uno scudo verso la metà del XVI secolo era di 15 giornate lavorative di 10/12 ore oppure di 40/50 chili di grano. Riassumendo:

la cifra di 851.000 fiorini sborsata per l'elezione di Carlo V corrispondeva a circa tremila chilogrammi (vale a dire tre tonnellate!) d'oro fino;

i 125.000 scudi pagati annualmente per armare e mantenere le galee di Andrea Doria corrispondono a circa 437 chili;

il prezzo di 40 scudi pagati per uno schiavo rematore è di 140 grammi.

Questi dati indicativi possono essere confrontati con i 400.000 ducati (quasi 1.400 chili d'oro) richiesti al papa Clemente VII de Medici (1478-1534) quale riscatto per liberare Roma dall'assalto dei Lanzichenecchi nel Sacco di Roma avvenuto fra il 5 e l'8 maggio 1527. Clemente VII era stato eletto papa nel 1523 con l'appoggio di Carlo V ma successivamente si era alleato con il re di Francia Francesco I nella cosiddetta Lega di Cognac. Di conseguenza Carlo V manda  a Roma le sue truppe mercenarie composte di quattordicimila Lanzichenecchi (dal tedesco Landsknecht, servo della patria) del Tirolo di fede luterana,  comandati dal generale von Frundsberg, un veterano delle campagne contro i francesi, con il compito di sconfiggere la lega nemica ed occupare lo Stato Pontificio.

I fatti inerenti al Sacco di Roma sono narrati nella Vita di Benvenuto Cellini con dovizia di particolari: per mettere insieme il prezzo del riscatto, il pontefice chiede all'orafo fiorentino di smontare vari gioielli e tiare del tesoro vaticano e fonderne l’oro con il fine di salvare almeno le pietre preziose in essi contenuti dalle feroci razzie che la città stava subendo. Le pietre, scrive Cellini, “...le rinvolsi in poca carta ciascune e le cucimmo (in alcuni farsetti e giubbetti) adosso al Papa ... Fonduto che io ebbi l'oro, circa dugento libbre (poco meno di un centinaio di chili) lo portai al Papa, il quale molto mi ringraziò di quello che io fatto avevo, e commesse ... che mi (fossero dati) venticinque scudi, scusandosi meco che non aveva più da potermi dare.” (Vita I 38-39). Quest'oro rappresentava la prima “rata” del riscatto che, in realtà, non fu mai pagato per intero. Pressato dall'imperatore, il pontefice si rifugiò prima a Castel Sant'Angelo, poi ad Orvieto ed infine a Viterbo. Ciononostante, un paio d'anni dopo i due si riconciliarono, il debito fu cancellato e Clemente VII incoronò Carlo V. Quando si dice che tutti i salmi finiscono in gloria...

 

Nota sulla tratta degli schiavi

Gli schiavi che arrivavano sule navi dei conquistadores erano inizialmente tutti concentrati nelle città di Siviglia e Granada da dove erano poi smistati nei vari stati europei: la famiglia Fornari, fra le più attive in questo tipo di commercio era, infatti, originaria di Granada con il nome di Fornario o Fornerio e solo più tardi un ramo di essa si trasferì a Genova per curarvi direttamente i propri affari. I prezzi andavano da 30 a 40 scudi per quelli da destinare alle galee. Le donne più giovani e di migliore aspetto così come gli uomini più prestanti non erano destinati ai lavori pesanti e costavano fino a  50 scudi. La regina Isabella la Cattolica – la stessa che aveva finanziato il viaggio di Cristoforo Colombo – cercò sempre di opporsi alla diffusione della schiavitù. Fu, quindi, negli anni dopo la sua morte nel 1504 che il traffico dei nativi dell'America meridionale e diretti verso la Spagna cominciò ad avere un grande impulso.

 

Nota sulle galee

 La galea è l'evoluzione naturale delle antiche navi greche, come quelle descritte da Omero, che furono usate nel Mar Mediterraneo per oltre tremila anni. Argo, la nave di Giasone e degli Argonauti alla ricerca del vello d'oro nel Mar Nero, era un prototipo di galea. Anticamente era spinta solo dalla forza dei remi; successivamente furono aggiunti uno o due alberi con le relative vele. Il suo declino cominciò dal XVII secolo, quando fu progressivamente soppiantata dai grandi velieri.

 La galea (dal greco galèos, squalo) – lunga da 40 a 50 metri, alta 8 metri – era sottile ed agile sul mare. Raccoglieva a bordo 250-300 uomini in 250 mq di spazio fruibile. Il nucleo predominante (150-170) era composto da rematori, prevalentemente schiavi. In quell'epoca uno schiavo rematore di buona costituzione poteva valere 40 scudi. Nel caso invece di forzati (i prigionieri di guerra condannati a più di sei anni) un rematore non costava assolutamente nulla poiché era proprio ai remi che scontava la sua pena: è per questo motivo che le galee si chiamavano anche galere ed i galeotti hanno questo nome. Molto spesso, nel caso di arrembaggi, anche i rematori erano chiamati a combattere nei corpo a corpo all'arma bianca (spade e coltelli).

Nel  XV secolo queste imbarcazioni cominciarono ad essere armate con un cannone nella corsia centrale più alcuni altri più piccoli sui lati della prua. Vennero poi aggiunti un rostro a prua per gli arrembaggi insieme a due alberi (alternativamente di maestra, di mezzana o di trinchetto a seconda della loro posizione verso prua o verso poppa) con vele quadre o latine. Queste però erano usate solo durante la navigazione in quanto, durante i combattimenti, le manovre con i remi erano più rapide ed efficaci.

Costruire una galea genovese da combattimento costava mediamente intorno ai 7200 ducati (di cui circa 3000 per il cantiere e la mano d'opera) ed impegnava 300 tronchi di legno, da 10 a 15 carpentieri coordinati da un mastro d'ascia, 5 fabbri per le installazioni militari e 2 operai per le attrezzature e rifiniture.

 

Nota bibliografica e fonti

Per la stesura di questo scritto sono stati consultati:

i testi di Hugh Thomas: I Fiumi dell’Oro, Mondadori, Milano 2006, e The Conquest of Mexico, London, 1993;

le cifre delle importazioni d’oro dal continente sud americano verso la Spagna sono basate sull’accuratissimo studio di Earl Hamilton: American Treasure and the Price Revolution in Spain 1501-1650, Cambridge MA 1934.

lo studio di Geo Pistarino sulla Tratta di schiavi tra Genova e la Spagna nel secolo XV, pubblicato in Medievalia 7, 1987, pp. 125-149;

la voce Doria Andrea nel Dizionario Biografico degli Italiani, Treccani, vol. 41, 1992, a cura di Edoardo Guendi;

il catalogo della mostra L'Età di Rubens, Palazzo Ducale di Genova, a cura di Piero Boccardo, Skira, 2004.

 

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